2012/12/03

1972/12/03: Il quotidiano "La Stampa" a pochi giorni dal lancio presenta l'ultima missione lunare del "Programma Apollo"

"L'Apollo, ultimo viaggio". Così titola a pagina 3 il quotidiano torinese "La Stampa" di domenica 3 dicembre 1972, presentando la missione di Cernan, Evans e Schmitt (dalla collezione personale di Gianluca Atti).
SI CHIUDE IL PRIMO TEMPO DELL'AVVENTURA LUNARE

L'Apollo, ultimo viaggio

Gli astronauti che partiranno mercoledì batteranno due primati, con circa 13 giorni di navigazione e 82 ore di permanenza sulla Luna - Ma la vigilia è grigia, l'entusiasmo sembra essersi spento - Quella che è stata una fase necessaria per lo sviluppo della tecnologia cede ora di fronte a istanze più immediate: ecologia, istruzione, salute e legalità - Incominciano la fase dei laboratori spaziali "abitati" e il tempo dei lanci con equipaggi americani e sovietici.

(Dal nostro corrispondente) New York, 2 dicembre. L'ultimo Apollo partirà mercoledì alle 21,53 (le 3,53 di giovedì in Italia). Per James Van Allen, lo scopritore delle fasce radioattive, sarà "la più rigorosa e utile missione lunare". Uno scienziato, il geologo Harrison Schmitt, farà parte per la prima volta dell'equipaggio. La durata del viaggio, poco meno di 13 giorni, e la permanenza sulla Luna, 82 ore, segneranno due primati. Nella valle ai piedi dei Monti Taurini, la Rover correrà per 37 chilometri, e verranno installati gli strumenti più preziosi.
Si chiude un'era, ma la vigilia è grigia. Sembra essersi spento l'interesse per le esplorazioni dello spazio. E' il sesto sbarco lunare in 41 mesi: dieci uomini hanno già violato l'astro e quattro laboratori automatici, tuttora funzionanti, vi sono già stati installati, circa 250 chilogrammi di pietre e polvere sono già stati portati a terra. Come protesta George McGovern, queste imprese "ricordano le scampagnate semestrali". La televisione a colori ha trasformato l'avventura in uno spettacolo in pantofole, un'abitudine.

Nessuna ritirata

Solo le rievocazioni suscitano brividi, come per l'epopea del Far West. Più che al comandante dell'Apollo 17, Cernan, la gente pensa ad Armstrong, l'eroe del luglio del '69, oggi professore all'Università di Cincinnati, umile e anonimo personaggio della "middle America". Non rimpiange quasi lo scioglimento dell'equipe di Von Braun, "i ragazzi tedeschi delle V2", ma si incuriosisce alla scalata finanziaria del neo miliardario Shepard, che giocò a golf sulla Luna, o di Lovell, che corse il rischio di morire sull'Apollo 13.
Il grigiore della vigilia è comprensibile, se si tiene presente il momento dell'America. Dice John Galbraith: "Si abbandonano frontiere vecchie; altre, appena conquistate, appaiono illusorie, e ricomincia la ricerca delle nuove". E la revisione più importante tocca forse le esplorazioni dello spazio. Dalla Luna si ritorna alla Terra. Molti valutano ora le imprese degli Apollo sulla base dei benefici concreti che possono apportare: all'entusiasmo dei pionieri è subentrato il calcolo dei sociologi e degli economisti. Pochi ormai pensano alla colonizzazione del satellite, i più mirano all'applicazione delle scoperte fatte nell'industria. La sfida tecnologica non è più tra le stelle, ma "nella gabbia del nostro pianeta". 
La Nasa è la prima a difendere queste convinzioni. La sua agenda per il '73 è una dimostrazione di realismo. Il 30 aprile lancerà lo "Skylab" (laboratorio del cielo) numero uno, l'involucro del razzo Saturno riadattato, e il primo maggio tre astronauti vi si agganceranno con la capsula Csm per restarvi 28 giorni. A distanza di tre mesi, l'esperimento verrà ripetuto due volte, con durata doppia. Dall'orbita terrestre si preparerà la difesa dell'ambiente naturale, e insieme il suo adattamento.
"Tra il '74 e il '75 - dichiara James Fletcher, direttore della Nasa - saranno gli anni della collaborazione con la Russia". Gli Apollo si uniranno alle Soyuz e alle Salyut, con equipaggi misti, dal luglio del '75 in poi. La North American Rockwell sta già costruendo i congegni appositi, e gruppi di scienziati si alternano tra Washington e Mosca. Dal '78 in avanti, la Nasa si dedicherà allo "Shuttle" (la navetta), il supersonico spaziale capace di tornare e trasportare 12 persone. Per il dopo non si fanno previsioni.
Come scrive il New York Times, non si tratta di una ritirata. Il programma Apollo non è stato un tentativo d'evasione, ma una fase necessaria della crescita della tecnologia. Esso ha alimentato ventimila industrie, promosso il "boom" dell'elettronica e dei calcolatori, creato sistemi universalmente validi per la soluzione di tanti problemi. Ha rivoluzionato la navigazione, le comunicazioni e la medicina: ha consentito nuove estrazioni di minerali e cibo dal mare e dalla terra, e lo sfruttamento dell'energia solare.

Si fanno i conti

"La revisione - sottolinea James Fletcher - non è stata imposta solo dal bilancio. Certo, dai quasi 6 miliardi di dollari nel '65, gl'investimenti si sono ora dimezzati. Ma altre ragioni hanno consigliato il passaggio da "l'exploit à la routine", come dicono i francesi: un ordine di precedenza più umano e razionale, per esempio la protesta giovanile e delle minoranze negli anni Sessanta, una comprensibile stanchezza dopo tante prove sfibranti". Il processo è stato doloroso, ma promette frutti.
Paradossalmente, tutto è cominciato con la crisi dell'economia e insieme della "fede tecnologica" nel '69, l'anno della conquista lunare. Nel giro di alcuni mesi, l'industria aerospaziale ha perso il 50 per cento dei dirigenti e delle maestranze. La "fuga dei cervelli" ha invertito rotta, non più dall'Europa agli Stati Uniti, bensì viceversa. Nelle parole di Joshua Ledemberg, Premio Nobel di genetica, "i giovani si sono disamorati della scienza": essi hanno temuto che si asservisse al militarismo.
Per qualche tempo, anche uomini insigni dubitarono del futuro dell'America. Insoddisfatti della azione del governo, rassegnarono le dimissioni amministratori come Paine, Dubridge e Moiniham. Il presidente dell'Accademia delle scienze, Philip Handler, denunciò scompensi settoriali, insufficiente collaborazione tra l'industria e l'università, benevola negligenza verso la rivoluzione chiave, quella energetica. L'ex sottosegretario al commercio Tribus scrisse che per le invenzioni il Paese era quarto nel mondo.
Fortunatamente, la crisi è terminata. E' in ripresa l'economia e la tecnologia ha il posto che si merita, di strumento del progresso umano. Le istanze immediate, quelle dell'ecologia, dell'istruzione, della sanità, della legalità e dell'ordine hanno avuto il sopravvento: "L'America è incline ad autobiasimarsi - commenta Fletcher - Ama ingigantire i propri mali. Ma a ogni sua battuta d'arresto fa ben presto seguito una vertiginosa ascesa. Le sue contraddizioni vanno sempre accolte con cautela".
Questo nuovo clima, più prammatismo e meno idealismo, sembra favorire l'efficienza di Nixon. La mobilitazione delle enormi risorse del Paese, il 59 per cento di tutte quelle del mondo con una popolazione di appena il 6 per cento, non è più affidata al romanticismo, ma all'utilitarismo. Forse anche per questo, il programma Apollo muore in una relativa indifferenza. L'animo americano conosce le ispirazioni dei poeti, ma è assai più vicino alla prosaicità dei "businessmen".
L'ultima missione dell'Apollo costerà circa 500 milioni di dollari, il progetto intero 25 miliardi. Per la guerra nel Vietnam l'America ha pagato almeno cinque volte tanto, ma i più se ne dimenticano. "Riceviamo in eredità più domande che risposte" sostiene la rivista radicale New Republic, e si chiede se questi soldi non si potessero spendere meglio. Vi sono stati senza dubbio sprechi, ma il progetto ha fornito un bagaglio di conoscenze pratiche e teoriche senza pari.
Quello della Luna, comunque, è un abbandono temporaneo. Il fisico Keith Bose lamenta che la situazione sia simile a quella dell'epoca delle "vacche magre" di Eisenhower: "Tre anni fa sognavamo di installare un radiotelescopio e un centro di comunicazione laser sulla Luna, di aprirvi un laboratorio per le alte energie e una base del tipo di quelle dell'Antartico... Oggi non prevediamo neppure di tornarci". Ma Von Braun non condivide tanto pessimismo: anzi, egli è convinto che la Luna "diverrà un'appendice della Terra".

I nati lassù

E spiega, o profetizza: "Per un quarto di secolo, forse a cominciare dagli anni Ottanta, l'astro sarà visitato solo da scienziati. Ma poi si costruiranno rifugi di tipo atomico e gruppi di uomini e donne vi risiederanno per tre o quattro mesi". Egli ricorda a tutti che il professor Andrè Meyer di Houston ha scoperto il modo di bombardare la superficie selenica con l'idrogeno, e farle produrre acqua e ossigeno. "Dopo il 2000 - sogna - vi nasceranno le prime generazioni, che andranno a scuola sulla Terra".
La revisione delle esplorazioni spaziali in corso renderà più facile l'impresa. "Dobbiamo vedere questi momenti come anelli di una stessa catena" commenta John Galbraith. "Quanto apprenderemo nel salto di qualità indispensabile per migliorare la nostra vita ci sarà utile per la conquista degli altri pianeti". Il caso tipico è quello della rivoluzione energetica: dalle cascate d'acqua si sta passando agli atomi e al Sole.
Questa settimana, la prima delegazione di scienziati cinesi ha visitato gli Stati Uniti. Non molto tempo fa, la visita si sarebbe accentrata su Houston e Capo Kennedy: adesso invece, sono stati accompagnati anche a Stamford [sic; sarebbe Stanford] e a Chicago, dove ci sono gli acceleratori nucleari, e al Massachusetts Institute of Technology. Nelle università i cinesi hanno chiesto quale fosse l'evento più importante dell'anno e hanno avuto come risposta: "L'utilizzazione delle scoperte dello spazio nella società".   (Ennio Caretto)